mercoledì 24 giugno 2009

Deserto rosso dal Ticino a Trieste

Dal Corriere.it di oggi (presente anche sull'edizione cartacea odierna) pubblico volentieri questo articolo interessante del giornalista Dario Di Vico. In miei numerosi post ho affrontato questo tema:

Lombardia e Nordest che producono il 34% del Pil diventano zona «no left»


Già dal nome si capisce che Ivan Malavasi fa parte dell'album di famiglia della sinistra. Iscritto per la prima volta al Pci nel 1967, quando aveva 19 anni, oggi è il presidente degli artigiani della Cna. Quegli artigiani che erano «rossi» e oggi «votano indifferentemente Pdl, Le­ga e Pd decidendo volta per volta». Dai sondaggi interni, che Malavasi e i suoi fanno di tanto in tanto, viene fuori, infat­ti, che il voto d’appartenenza non esiste più e gli artigiani della Cna non si sento­no in dovere di votare Pd. Anzi. A Varese tra i sette vice-presidenti della Cna me­no della metà vota centro-sinistra e grosso modo le stesse proporzioni si ri­trovano tra i membri del consiglio pro­vinciale.
La débâcle elettorale dei Democratici nel Lombardo-Veneto si spiega anche così con la diaspora dei «suoi» artigiani che segue la fascinazione leghista sulla classe operaia. Se non ci fossero le am­ministrazioni di Mantova, Padova e alla Provincia di Rovigo per i progressisti sa­rebbe un deserto politico, un’immensa zona no left dal Ticino a Trieste. «In que­ste terre oggi c’è disagio, quasi rabbia, verso la politica e la sinistra paga il prez­zo più salato per l’ormai cronica incapa­cità di interpretare bisogni e aspettative dei ceti produttivi» sostiene Malavasi. Lo scollamento si percepisce anche tra gli otto milioni di iscritti alla Lega Coop. Una volta il voto rosso andava in auto­matico, oggi non più. Il mondo della co­operazione si sente trascurato dal Pd e i dirigenti della Lega Coop hanno sotto­scritto con il governo la riforma del siste­ma contrattuale, quella avversata con ogni forza dalla Cgil e da tanti dirigenti del partito. Un’indagine realizzata in Ve­neto già qualche anno fa dalla Coop Adriatica è arrivata alla conclusione che il 40% dei soci coop potevano essere con­siderati elettori piuttosto fedeli del cen­tro- destra. Alle cooperative rosse ora ci si iscrive perché danno buoni servizi e offrono prezzi bassi ma poi la separazio­ne con le scelte politiche è nettissima.
Le organizzazioni economiche che rappresentavano il retroterra della sini­stra ora camminano per conto proprio, fanno e disfano le alleanze e non hanno bisogno di parenti ingombranti e per di più con le idee annebbiate. Le imprese di costruzioni della Lega Coop, come la Cmb di Carpi, sono apprezzate anche fuori dall’Emilia, in Lombardia per esem­pio, e sono presenti nei lavori per il Tea­tro alla Scala o per le infrastrutture di ter­ritorio. Nel mercato dell’interinale Lega Coop e Compagnia delle Opere hanno costruito una società comune, Obiettivo Lavoro. La grande crisi non ha spazzato via le coop abituate da sempre a fare da ammortizzatore sociale e così rinuncian­do agli utili e stringendo la cinghia sono riuscite ad evitare i licenziamenti di mas­sa. A Varese, dove pure opera la più com­patta Confartigianato d’Italia, attorno al­la Cna girano circa 5 mila imprese. «Più siamo distanti dalla politica più siamo credibili» sostiene il presidente provin­ciale Davide Parolo, titolare di un’autoffi­cina. La lontananza dai partiti è così pa­gante che Malavasi pensa che si debba dar vita ad una grande Federazione dei Piccoli che unisca tutte le rappresentan­ze dei piccoli imprenditori, degli artigia­ni, dei commercianti e della cooperazio­ne, anche se è evidente che scaverebbe un solco ancora più ampio con il Pd. Ognuno per la sua strada e addio al colla­teralismo. «La sinistra politica ha sba­gliato a snobbare i piccoli, è stato un er­rore storico privilegiare la Cgil, la Cisl o la Confindustria. La concertazione roma­na non rappresenta l’interesse genera­le » dichiara Laura Puppato, sindaco Pd (con partita Iva) di Montebelluna e neo-eletta al Parlamento europeo.
La Puppato è una delle poche eccezio­ni perché in quasi tutti gli altri distretti industriali il centro-destra prevale. Uno studio fatto lo scorso anno dalla Fonda­zione Edison ne aveva elencati ben 46 nei quali la coalizione capeggiata da Sil­vio Berlusconi aveva vinto. Anzi stravin­to, visto che in 33 casi la percentuale era stata fra il 73 e il 60%. L’unica eccezione del campione era rappresentata dal di­stretto delle piastrelle di Sassuolo (caro a Romano Prodi) dove il centro-destra alle politiche si era fermato al 43,4%. Ma ieri nonostante la costante presenza e at­tenzione di due ex ministri come Pierlui­gi Bersani ed Enrico Letta, il Comune ha cambiato di segno ed è passato alla de­stra. «Gli uomini e le donne del Pd non conoscono la realtà della piccola impre­sa, anzi la disprezzano e quando è l’ora delle urne sono ricambiati con eguale moneta» sostiene il deputato del Pd Ni­cola Rossi. «È inutile imbarcare i Cola­ninno e i Calearo quando tutti ricordano le scelte del ministro Visco, la rappresen­tazione di un fisco totalmente sordo. Ha abbassato l’aliquota dell’Ires e l’ha finan­ziata riducendo la deducibilità degli inte­ressi passivi. Una mazzata per le piccole imprese che si erano indebitate per fare investimenti. Al momento del voto non si dimentica».
Con il responso delle urne «è stata di­sarcionata anche la strategia imperniata sul ruolo degli amministratori come Chiamparino, Penati e Cacciari» com­menta Carlo Cerami, coordinatore lom­bardo della Fondazione Italianieuropei che sta per organizzare il 30 a Milano il primo appuntamento pubblico della si­nistra dopo il voto. Si parlerà del futuro delle banche italiane e saranno presenti i big del credito e dell’impresa. Ma così non rischiate di avvalorare la tesi leghi­sta che vi presenta come banco-centrici e filo-confindustriali? «Non sarà una passerella per banchieri, cercheremo di costruire un ponte tra finanza e territo­ri. Se imprese e credito non si parlano i piccoli vanno in ulteriore sofferenza» as­sicura Cerami, ma è cosciente del ri­schio. Il Pd nei grandi alberghi e la Lega per strada.
In termini di Pil la Lombardia e il Nord Est rappresentano 530 miliardi di euro, il 34% del Pil nazionale, una quota quasi interamente composta da ricchez­za prodotta dai privati. Su questa ma­cro- regione dal Ticino a Trieste sventola­no le bandiere del centro-destra che si considera tanto forte da poter mettere in calendario per il prossimo anno un derby tra Pdl e Lega per la supremazia in Lombardia e Veneto. Tanto la sinistra non prenderà palla comunque. L’egemo­nia della destra è così forte da reggere anche agli scossoni dello scontento dei piccoli imprenditori. La crisi, secondo i modelli della scienza politica, dovrebbe avvantaggiare le opposizioni, specie se di sinistra. Invece sta succedendo il con­trario, il Pdl non paga dazio e la Lega cre­sce sullo scontento degli operai che pre­sidiano i cancelli e dei commercianti che rischiano di chiudere.

Annota Rossi: «Chi si stupisce do­vrebbe sentir parlare in Parlamento i le­ghisti. Sui problemi della piccola im­presa sono preparatissimi. Pdl e Pd in­vece in questo si assomigliano, parla­no per sentito dire». Secondo Parolo (Cna) la rabbia dei piccoli imprendito­ri non segna ancora un divorzio dal centro-destra perché comunque «pen­sano che a palazzo Chigi ci sia un gover­no amico», nonostante che «sugli stu­di di settore il governo li abbia lasciati a terra». Ma la spiegazione più tran­chant viene da Nicola Rossi: «Non pro­muovo il governo, tutt’altro. Ma se un artigiano deve scegliere tra Sacconi e Damiano, tra Brunetta e Nicolais che pensate che faccia? Sacconi ha comun­que semplificato il regime di assunzio­ni e licenziamenti e Brunetta a modo suo sta lottando contro la pubblica am­ministrazione inefficiente. Il Nord a queste cose è attento».

Dario Di Vico
24 giugno 2009

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