Dal Corriere.it di oggi (presente anche sull'edizione cartacea odierna) pubblico volentieri questo articolo interessante del giornalista Dario Di Vico. In miei numerosi post ho affrontato questo tema:
Lombardia e Nordest che producono il 34% del Pil diventano zona «no left»
Già dal nome si capisce che Ivan Malavasi fa parte dell'album di famiglia della sinistra. Iscritto per la prima volta al Pci nel 1967, quando aveva 19 anni, oggi è il presidente degli artigiani della Cna. Quegli artigiani che erano «rossi» e oggi «votano indifferentemente Pdl, Lega e Pd decidendo volta per volta». Dai sondaggi interni, che Malavasi e i suoi fanno di tanto in tanto, viene fuori, infatti, che il voto d’appartenenza non esiste più e gli artigiani della Cna non si sentono in dovere di votare Pd. Anzi. A Varese tra i sette vice-presidenti della Cna meno della metà vota centro-sinistra e grosso modo le stesse proporzioni si ritrovano tra i membri del consiglio provinciale.
La débâcle elettorale dei Democratici nel Lombardo-Veneto si spiega anche così con la diaspora dei «suoi» artigiani che segue la fascinazione leghista sulla classe operaia. Se non ci fossero le amministrazioni di Mantova, Padova e alla Provincia di Rovigo per i progressisti sarebbe un deserto politico, un’immensa zona no left dal Ticino a Trieste. «In queste terre oggi c’è disagio, quasi rabbia, verso la politica e la sinistra paga il prezzo più salato per l’ormai cronica incapacità di interpretare bisogni e aspettative dei ceti produttivi» sostiene Malavasi. Lo scollamento si percepisce anche tra gli otto milioni di iscritti alla Lega Coop. Una volta il voto rosso andava in automatico, oggi non più. Il mondo della cooperazione si sente trascurato dal Pd e i dirigenti della Lega Coop hanno sottoscritto con il governo la riforma del sistema contrattuale, quella avversata con ogni forza dalla Cgil e da tanti dirigenti del partito. Un’indagine realizzata in Veneto già qualche anno fa dalla Coop Adriatica è arrivata alla conclusione che il 40% dei soci coop potevano essere considerati elettori piuttosto fedeli del centro- destra. Alle cooperative rosse ora ci si iscrive perché danno buoni servizi e offrono prezzi bassi ma poi la separazione con le scelte politiche è nettissima.
Le organizzazioni economiche che rappresentavano il retroterra della sinistra ora camminano per conto proprio, fanno e disfano le alleanze e non hanno bisogno di parenti ingombranti e per di più con le idee annebbiate. Le imprese di costruzioni della Lega Coop, come la Cmb di Carpi, sono apprezzate anche fuori dall’Emilia, in Lombardia per esempio, e sono presenti nei lavori per il Teatro alla Scala o per le infrastrutture di territorio. Nel mercato dell’interinale Lega Coop e Compagnia delle Opere hanno costruito una società comune, Obiettivo Lavoro. La grande crisi non ha spazzato via le coop abituate da sempre a fare da ammortizzatore sociale e così rinunciando agli utili e stringendo la cinghia sono riuscite ad evitare i licenziamenti di massa. A Varese, dove pure opera la più compatta Confartigianato d’Italia, attorno alla Cna girano circa 5 mila imprese. «Più siamo distanti dalla politica più siamo credibili» sostiene il presidente provinciale Davide Parolo, titolare di un’autofficina. La lontananza dai partiti è così pagante che Malavasi pensa che si debba dar vita ad una grande Federazione dei Piccoli che unisca tutte le rappresentanze dei piccoli imprenditori, degli artigiani, dei commercianti e della cooperazione, anche se è evidente che scaverebbe un solco ancora più ampio con il Pd. Ognuno per la sua strada e addio al collateralismo. «La sinistra politica ha sbagliato a snobbare i piccoli, è stato un errore storico privilegiare la Cgil, la Cisl o la Confindustria. La concertazione romana non rappresenta l’interesse generale » dichiara Laura Puppato, sindaco Pd (con partita Iva) di Montebelluna e neo-eletta al Parlamento europeo.
La Puppato è una delle poche eccezioni perché in quasi tutti gli altri distretti industriali il centro-destra prevale. Uno studio fatto lo scorso anno dalla Fondazione Edison ne aveva elencati ben 46 nei quali la coalizione capeggiata da Silvio Berlusconi aveva vinto. Anzi stravinto, visto che in 33 casi la percentuale era stata fra il 73 e il 60%. L’unica eccezione del campione era rappresentata dal distretto delle piastrelle di Sassuolo (caro a Romano Prodi) dove il centro-destra alle politiche si era fermato al 43,4%. Ma ieri nonostante la costante presenza e attenzione di due ex ministri come Pierluigi Bersani ed Enrico Letta, il Comune ha cambiato di segno ed è passato alla destra. «Gli uomini e le donne del Pd non conoscono la realtà della piccola impresa, anzi la disprezzano e quando è l’ora delle urne sono ricambiati con eguale moneta» sostiene il deputato del Pd Nicola Rossi. «È inutile imbarcare i Colaninno e i Calearo quando tutti ricordano le scelte del ministro Visco, la rappresentazione di un fisco totalmente sordo. Ha abbassato l’aliquota dell’Ires e l’ha finanziata riducendo la deducibilità degli interessi passivi. Una mazzata per le piccole imprese che si erano indebitate per fare investimenti. Al momento del voto non si dimentica».
Con il responso delle urne «è stata disarcionata anche la strategia imperniata sul ruolo degli amministratori come Chiamparino, Penati e Cacciari» commenta Carlo Cerami, coordinatore lombardo della Fondazione Italianieuropei che sta per organizzare il 30 a Milano il primo appuntamento pubblico della sinistra dopo il voto. Si parlerà del futuro delle banche italiane e saranno presenti i big del credito e dell’impresa. Ma così non rischiate di avvalorare la tesi leghista che vi presenta come banco-centrici e filo-confindustriali? «Non sarà una passerella per banchieri, cercheremo di costruire un ponte tra finanza e territori. Se imprese e credito non si parlano i piccoli vanno in ulteriore sofferenza» assicura Cerami, ma è cosciente del rischio. Il Pd nei grandi alberghi e la Lega per strada.
In termini di Pil la Lombardia e il Nord Est rappresentano 530 miliardi di euro, il 34% del Pil nazionale, una quota quasi interamente composta da ricchezza prodotta dai privati. Su questa macro- regione dal Ticino a Trieste sventolano le bandiere del centro-destra che si considera tanto forte da poter mettere in calendario per il prossimo anno un derby tra Pdl e Lega per la supremazia in Lombardia e Veneto. Tanto la sinistra non prenderà palla comunque. L’egemonia della destra è così forte da reggere anche agli scossoni dello scontento dei piccoli imprenditori. La crisi, secondo i modelli della scienza politica, dovrebbe avvantaggiare le opposizioni, specie se di sinistra. Invece sta succedendo il contrario, il Pdl non paga dazio e la Lega cresce sullo scontento degli operai che presidiano i cancelli e dei commercianti che rischiano di chiudere.
Annota Rossi: «Chi si stupisce dovrebbe sentir parlare in Parlamento i leghisti. Sui problemi della piccola impresa sono preparatissimi. Pdl e Pd invece in questo si assomigliano, parlano per sentito dire». Secondo Parolo (Cna) la rabbia dei piccoli imprenditori non segna ancora un divorzio dal centro-destra perché comunque «pensano che a palazzo Chigi ci sia un governo amico», nonostante che «sugli studi di settore il governo li abbia lasciati a terra». Ma la spiegazione più tranchant viene da Nicola Rossi: «Non promuovo il governo, tutt’altro. Ma se un artigiano deve scegliere tra Sacconi e Damiano, tra Brunetta e Nicolais che pensate che faccia? Sacconi ha comunque semplificato il regime di assunzioni e licenziamenti e Brunetta a modo suo sta lottando contro la pubblica amministrazione inefficiente. Il Nord a queste cose è attento».
Dario Di Vico
24 giugno 2009
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