giovedì 29 gennaio 2009
Grazie Europa
"Quali azioni intendete prendere per adeguare alla direttiva sulla qualità dell'aria i livelli di Pm10, un inquinante che può causare cancro, tumori polmonari e morti premature?"
E' bene sapere che, mentre le immatricolazioni di S.U.V. aumentano, le nostre "autorità" poco e niente hanno fatto per promuovere il trasporto pulito, su rotaia per esempio. Le linee di trasporto ferroviario sono le stesse da cinquant'anni a questa parte, per fare una metropolitana ci vogliono vent'anni, con i tram si fa prima ad andare a piedi....Ma visto che la Pianura Padana è una grande CAMERA A GAS, sarebbe opportuno prendere provvedimenti SUBITO, anche urgenti. Anzi più che opportuno E' OBBLIGO DI LEGGE (europea). Rischiamo infatti di pagare tutti l'insipienza (di pochi) e il disinteresse (di molti). Ma alla nostra giunta regionale (al governo da più di dieci anni) i comuni ecc. LA NOSTRA SALUTE NON INTERESSA...E NON LO DICO IO, PARLANO I FATTI.
Per la cronaca: il treno che dovevo prendere oggi è stato soppresso (comunicato dopo la soppressione, naturally) e sono arrivato al lavoro 45 minuti dopo...MA IN ITALIA qualcuno paga per chi NON fa il proprio dovere ? La risposta è un ovvio monosillabo: NO.
Qui sotto l'articolo del CORRIERE.IT
Pm10 fuorilegge 24 volte dall'inizio dell'anno
Allarme smog, l'Europa «multa» Milano
La Ue apre la procedura d'infrazione. «Subito piani per abbassare i veleni». C'è il rischio di sanzioni milionarie
MILANO - La votazione è in programma per oggi. Il documento è al punto «A» dell'ordine del giorno nella riunione del Collegio dei commissari. Poi partirà la lettera: l'Europa apre una nuova procedura di infrazione (quella definitiva) contro l'Italia, e quindi contro la Lombardia e Milano, per i livelli di smog troppo alti. Il messaggio della Commissione, in sintesi, sarà questo: «Avete due mesi di tempo per comunicarci i vostri piani per riportare l'inquinamento sotto i limiti». A Bruxelles esamineranno i dossier, che dovranno comprendere i provvedimenti, le valutazioni scientifiche, le coperture finanziarie.
È una sorta di ultimo appello: «Se sarete in grado di dare una svolta e agire da subito in maniera davvero efficace, avrete tempo fino al 2011 per rientrare sotto le soglie». Altrimenti ci sarà il deferimento alla Corte di giustizia, che potrebbe finire con milioni di euro di multe. Le parole di Bruxelles sono chiare: dovete agire, fare di più e dovete farlo subito. La lettera partita lo scorso 8 luglio chiedeva testuale: «Quali azioni intendete prendere per adeguare alla direttiva sulla qualità dell'aria i livelli di Pm10, un inquinante che può causare cancro, tumori polmonari e morti premature?». La procedura che dovrebbe essere aperta oggi (salvo cambi dell'ultimo momento nel calendario istituzionale dei commissari) riguarda la mancanza di quei piani che avrebbero dovuto essere trasmessi dal governo italiano entro il 31 ottobre 2008. Il referente della Commissione è sempre Roma, ma in questi casi il governo è un intermediario: i piani devono essere messi a punto dalle Regioni e dagli enti locali.
Per questo è già in programma una riunione al Pirellone per il 10 febbraio prossimo. Parteciperanno tutte le Regioni della Valle del Po con l'obiettivo di avviare misure coordinate. La nuova procedura arriva in uno dei momenti più neri per lo smog a Milano negli ultimi anni. La legge europea prevede infatti che non si possa superare per più di 35 giorni in un anno la soglia di 50 microgrammi per metro cubo di polveri sottili. Nel 2009 i giorni di Pm10 «fuorilegge» sono stati già 24 su 27. Questa la situazione negli anni precedenti: 149 superamenti nel 2006, 132 nel 2007 e 104 nel 2008. Il trend è in discesa, ma il buon risultato ottenuto l'anno scorso rischia di essere vanificato dal pessimo avvio di quest'anno.
Quando sarà formalizzata la decisione della Ue «inizierà il conto alla rovescia senza scampo — spiega il consigliere dei Verdi Enrico Fedrighini — per i governanti locali colpevoli di inerzia e mancata tutela della salute pubblica. A breve si troveranno davanti a una cruda opzione: buttare centinaia di milioni in una multa o decidere finalmente di investirli per potenziare il trasporto pubblico. E Milano deve continuare con più coraggio a giocare il ruolo di apripista nelle politiche antismog». In realtà Milano e Lombardia erano state già «denunciate » dalla Ue per aver «sforato» i limiti di smog dal 2005 in poi. L'iter non è andato avanti perché nel frattempo era in discussione la nuova direttiva sulla qualità dell'aria, approvata l'11 giugno scorso. Le vecchie infrazioni confluiranno in quest'ultimo procedimento. Dopo anni di attesa, la prospettiva di «processo e punizione» diventa reale.
Gianni Santucci
martedì 27 gennaio 2009
Almeno pagare le tasse non dà gli stessi diritti ?
Forse a BRESCIA (gli amministratori) preferiscono non rispondere.
Brescia/ I giudici bocciano il Comune: "Razzista il bonus bebè agli italiani"
Martedí 27.01.2009 14:46 dal sito AFFARI ITALIANI.IT
È "discriminatorio" il provvedimento con cui il Comune di Brescia ha deliberato il bonus bebé da mille euro per le famiglie di ogni bambino nato nel 2008, purché sia bresciano, o figlio di almeno un genitore italiano. Lo ha stabilito il giudice del lavoro di Brescia accogliendo il ricorso presentato per conto di due coppie di genitori stranieri e dell'Associazione Studi Giuridici sull'Immigrazione (Asgi) dall'avvocato Alberto Guariso. I ricorrenti chiedevano al giudice "di accertare e dichiarare il carattere discriminatorio del comportamento tenuto dal Comune di Brescia (...) nella parte in cui esclude i figli di genitori stranieri dalla possibilità di accedere al beneficio economico ivi previsto" e in via subordinata "nella parte in cui esclude i figli di genitori stranieri che siano titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo o dello status di rifugiati politici e figli di cittadini comunitari non italiani".
Chiedevano inoltre di "ordinare al Comune di Brescia in persona del sindaco pro tempore (Adriano Paroli, ndr) di revocare detta delibera nella parte in cui contiene le esclusioni di cui sopra e di attribuire pertanto il beneficio a tutti gli stranieri che ne facciano richiesta e siano in possesso degli ulteriori requisiti diversi dalla cittadinanza" e di "condannare il Comune di Brescia a versare ai ricorrenti l'assegno previsto da detta delibera" nonchá a "risarcire il danno derivante dal comportamento discriminatorio" valutato in altri mille euro. Il Comune si era difeso con una memoria depositata dall'avvocatura civica di Brescia insieme all'avvocato Enrico Vizzardelli in cui si sosteneva che la delibera "non è affatto discriminante" perché "dati di fatto statistici dimostrano che i cittadini Italiani sono meno fertili e vanno aiutati se non abbienti, mentre i residenti stranieri dimostrano ancora di avere un alto tasso di fertilità".
Oggi il giudice Onne ha dichiarato il carattere "discriminatorio" della delibera, ha condannato il Comune di Brescia ha staccare l'assegno da mille euro del bonus bebé per le due coppie di genitori ricorrenti e a pagare 5mila euro di spese legali e ha ordinato la pubblicazione della su un giornale. "Siamo soddisfatti perché il provvedimento del giudice riconosce che non possono essere fatte differenze sulla base della cittadinanza tanto più quando siano motivate dalla finalità, espressamente definita come irrazionale, di indurre le persone a procreare sulla base di un modestissimo incentivo economico".
Così l'avvocato Alberto Guariso commenta la sentenza con cui il giudice del lavoro ha accolto l'impugnazione della delibera con cui il Comune di Brescia ha approvato il bonus bebé da mille euro per le famiglie di ogni bambino nato nel 2008, purché sia bresciano, o figlio di almeno un genitore italiano. Il legale aveva presentato ricorso per conto di due coppie di genitori stranieri e dell'Asgi.
lunedì 26 gennaio 2009
Nel silenzio generale....
La notizia riportata da REPUBBLICA.IT:
Anche Baidoa, la capitale del Tng, il Governo nazionale di transizione somalo, è caduta nella mani dei radicali islamici. Con la sua conquista le milizie degli Al Shabaab, formazione islamica legata ad al Qaeda, ottiene forse uno degli obiettivi più ambiti e di grande valenza politica. Sin dai tempi delle Corti islamiche Baidoa è stata la sede del nuovo Parlamento e dei ministeri che tentano da tre anni di costituire una parvenza di istituzioni. Ma con il ritiro delle truppe etiopiche, completato proprio ieri e annunciato ufficialmente da Addis Abeba, l'avanzata degli al Shaabab è stata quasi inarrestabile. Adesso tutto il sud, il centro e gran parte del nord della Somalia risulta nelle mani dei radicali. "La città è completamente sotto nostro controllo", ha dichiarato il portavoce delle milizie, lo sceicco Mukhtar Robow. "Ci sono alcuni miliziani che ci sparano addosso, ma presto li neutralizzeremo". L'Alleanza per la nuova liberazione della Somalia, l'associazione che raggruppa gli islamici moderati disposti a formare un governo con i laici del Tng, ha confermato solo parzialmente la notizia. Riunti a Gibuti dove si tiene l'ennesimo vertice che cerca di dare corpo ad un progetto di governo, gli esponenti dell'Alleanza sostengono che si combatte ancora strada per strada. Ma tutti sono convinti che si tratta solo di "questione di ore". Un residente di Baidoa, Ali Abdullahi Hassan, ha dichiarato di aver visto lo sceicco Robow a bordo di un pick up in città. "C'erano numerosi miliziani armati con lui e trovano solo una debole resistenza".
Due giorni fa, il centro di Mogadiscio era stato investito dallo scoppio di un'autobomba che aveva provocato 13 morti e oltre venti feriti. Ieri le milizie degli al Shabaab si erano accanite sui soldati dell'Amisom, la missione di pace dell'Unione africana. Asserragliati nella loro grande base piazzata dentro l'aeroporto erano stati bersagliati da colpi di mortaio e lanci di razzi. Non c'erano state reazioni. Le prospettive per la Somalia diventano sempre più cupe e incerte. La totale conquista del paese da parte dei radicali è ormai imminente. La candidatura a presidente del capo delle formazioni moderate, Sheick Sharif Ahmed, a questo punto appare più un annuncio rituale piuttosto che una scelta strategica.
giovedì 22 gennaio 2009
Il federalismo val bene una messa.
Dal sito del CORRIERE.IT:
Umberto Bossi: «Con la sinistra abbiamo fatto un lavoro importante»
Federalismo, il Pd si astiene«Siamo una forza responsabile»
Veltroni: «Sono passate alcune nostre proposte. Ma restano nodi da risolvere»
ROMA - Il disegno di legge sul federalismo fiscale si avvia verso il voto finale al Senato. Dopo l'eventuale approvazione (in aula dovrebbe presentarsi anche il premier, Silvio Berlusconi), il testo passerà alla Camera. Proprio sul ddl si riapre il confronto tra maggioranza e opposizione: il Pd ha infatti annunciato l'astensione durante il voto. La decisione, presa dall'assemblea del gruppo, è stata comunicata dal segretario, Walter Veltroni: «Una decisione giusta di una forza che assume la responsabilità» del dialogo «e che ha cambiato il testo originario facendo passare molte proposte». Al Pd arriva il plauso di Umberto Bossi: «Con la sinistra è stato fatto un lavoro importante» dice il ministro delle Riforme. NODI - Prove di dialogo, dunque. Ma lo stesso Veltroni avverte che l'atteggiamento dei democratici, nel corso dell'iter parlamentare, potrebbe cambiare: «La maggioranza deve sapere che il banco di prova saranno la copertura finanziaria del provvedimento e l'attuazione del pacchetto Violante di riforme istituzionali - spiega Veltroni - in particolare sulla riduzione dei parlamentari e sul Senato federale». La decisione sull'astensione è stata presa, come ha spiegato la capogruppo Anna Finocchiaro, a «larghissima maggioranza». Da quello che si è appreso, alcuni senatori si sono pronunciati per il no, a partire da Marco Follini. BOSSI - Il Pd incassa dunque il plauso di Bossi, che però sottolinea: «Dopo tutte le loro proposte che abbiamo accettato, non potevano proprio votare contro». Il Senatùr rivolge poi una critica a Pier Ferdinando Casini: «Proprio non lo capisco: già è al lumicino, se vuole fare il difensore del Sud, la battaglia antifederalista che è persa in partenza, chissà dove finirà...». Il ministro delle Riforme smentisce poi di aver inviato una lettera al ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, per sollecitare la presentazione dei costi del federalismo fiscale. Conversando con i giornalisti in Transatlantico, Bossi scherza: «Non ho scritto nessuna lettera a Tremonti, certo se fosse una bella donna...». Insomma, nessuna pressione sul ministro dell’Economia per quanto riguarda i costi del federalismo fiscale: «Con Tremonti ci sentiamo tutti i giorni, ma noi seguiamo con attenzione» i lavori sul federalismo per evitare che «sia smontato da un'altra parte».BONAIUTI - E il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Paolo Bonaiuti, assicura che non c'è nessun contrasto tra il premier, Silvio Berlusconi, e Bossi. Nel corso di un'intervista a «Italia news», in onda su Rai International, Bonaiuti ha ribadito che il rapporto tra i due «è così eccellente che non occorre commentarlo». «Il federalismo lo abbiamo lasciato come bandiera alla Lega - ha aggiunto - ma è nel nostro programma di governo» e «fa parte integrante di quel contratto che facemmo con gli elettori».
Perchè tanto stupore ?
Dal sito del CORRIERE.IT
LA POLEMICA
Alitalia, Castelli a Cai: follia 325 euro per un volo sola andata Roma-Milano
Lo stupore dell'ex ministro leghista: politica tariffaria da rivedere quanto prima
ROMA - «Rilevo con stupore che un biglietto aereo di sola andata da Roma a Milano da prenotare per venerdì prossimo alle ore 13, quindi in un orario non di punta, costa 325,80 euro. L'avere concesso a Cai/Alitalia di agire in regime di monopolio tra Roma e Milano al di fuori delle regole dell'antitrust, doveva servire ad agevolare l'avvio della nuova compagnia aerea, non certo a consentire di praticare tariffe che non hanno eguali al mondo». Lo ha detto il sottosegretario alle Infrastrutture, il leghista Roberto Castelli, un habituè sulla tratta Linate-Fiumicino.
FUORI DAL MONDO - «325,80 euro per andare da Roma Fiumicino a Milano Linate sembra francamente una cifra fuori dal mondo. Significa utilizzare in maniera troppo disinvolta le regole di monopolio. Auspico - ha aggiunto Castelli - che Cai voglia rivedere quanto prima la sua politica tariffaria, che se con Alitalia era giustificata dalla concorrenza di altre compagnie sulla stessa tratta, ora non ha motivo di esistere».
mercoledì 21 gennaio 2009
Torino, il PD del Nord sfida Roma "Qui una classe dirigente vera"
Chiamparino lancia il suo modelo
Torino, il Pd del Nord sfida Roma"Qui una classe dirigente vera"
di ALBERTO STATERA
da LA REPUBBLICA del 15.01.2009
Sergio Chiamparino, sindaco di Torino
TORINO - Duettano sintonici come Castore e Polluce Sergio Chiamparino e Alessandro Profumo nel salone d'onore della Cassa di Risparmio di Torino. Duettano su "I territori del sistema Italia", accompagnati da dotte disquisizioni sulle classi dirigenti locali del professor Aldo Bonomi. Un "assist" politico, nella scelta del tema territoriale, offerto dall'amministratore delegato di Unicredit a "Mister 75 per cento", il sindaco che dopo otto anni di governo della sua città cresce di 15 punti in popolarità (fonte "Il Sole-24 Ore") rispetto ai voti ottenuti l'ultima volta, salvando solitario l'onore del suo partito. O viceversa? I poteri forti bancari non godono al momento di gran salute, non è come quando Massimo D'Alema li incontrò da star a Sesto San Giovanni, ex roccaforte della classe operaia. I poteri deboli del Partito democratico sono proprio allo stremo, in un pantano, tra oligarchie, correnti e veti reciproci, che rasenta la tafazziana (dal Tafazzi, quello che si martellava con una bottiglia le parti sensibili) sindrome autodistruttiva. I "territori" sono forse la via della rigenerazione per sconfiggere i fantasmi del "partito mal riuscito" (copyright Massimo D'Alema), secondo "Mister 75", che vagheggia il Partito Democratico del Nord (Pdn). Incompreso da quelli che definì "vertici distanti e inadeguati", ma incoraggiato longitudinalmente dagli amministratori di centrosinistra - e sono ancora tanti - dal Friuli alla Liguria, con in mezzo pezzi forti come Massimo Cacciari a Venezia e Filippo Penati a Milano.
Sfida da poker estremo, quasi disperato, un Pd del Nord, cioè il partito di un partito che nei fatti ancora non c'è e che forse non ci sarà mai e di un Nord che non c'è e forse non ci sarà mai. Lombardoveneto, Regno Sabaudo, terzo e quarto capitalismo. Nord-Est, Nord-Ovest, postfordismo ed economia liquida dei servizi. In un'accelerazione dei promotori locali d'impronta federalista che, se ci sarà, porterà forse altri voti alla Lega, difficilmente al Pd. Prendete Alitalia e Malpensa, la partita provinciale un po' ottusa della Lega varesina, che a destra e a sinistra replicano pedissequamente anche le borghesie milanesi ad uso di manager incapaci imposti dal potere bossiano. Credete forse che Torino o Venezia tifassero per Malpensa in nome di una solidarietà nordista? Per carità. Chi se ne cale qui della Malpensa, con quarantacinquemila cassintegrati a Torino, non portabagagli aeroportuali ma aristocrazia operaia metalmeccanica, con Sergio Marchionne che, trovato il partner estero (il padrone?), nel 2010 lascerà insalutato ospite la Fiat, dopo aver deciso cosa vuol fare da grande. Con le casse degli enti locali vuote, in nome del federalismo parolaio della Lega, che di aiuti come quelli elargiti a suo tempo per la Fiat non ne possono più dare. Ma Chiamparino ci prova: basta con la giungla dei cacicchi romani - perché sono anche lì, soprattutto lì - ci vuole un colpo di reni del Partito democratico fatto di centralismo ("non aggiungo democratico", ridacchia al richiamo togliattiano) e, al tempo stesso, di massimo possibile decentramento, rispetto a una paralisi del Pd in cui nessuno è in grado di far passare una linea perché tutti detengono inappellabili poteri di veto. Circostanza non prevista o ben sottovalutata soltanto pochi mesi fa quando Walter Veltroni, proprio qui a Torino nella "Sala gialla" del Lingotto, luogo simbolo della "working class", si pose come campione del "problem solving". Dopo la sconfitta elettorale di aprile, i problemi irrisolti, non solo del paese, ma del partito neonato, hanno ammorbato la casa come un gas venefico. "Mister 75" va speranzoso a Roma alla riunione di direzione e ne esce non arrabbiato, proprio imbufalito: "Sembrava un'assemblea dell'Onu, fatta di distinguo diplomatici, di veti, di procedure". Una specie di "attrazione gravitazionale verso il passato". E cerca di consolarsi nella riunione dei dirigenti e degli amministratori democratici di sabato scorso a Milano: "Un'altra musica, una classe dirigente vera, che nessuno al centro sembra capace di valorizzare. Per carità, niente caminetti, ma proviamo almeno a mettere accanto ai leader storici chi rappresenta le poche esperienze politiche positive". Veltroni ha dato un segno con i commissariamenti, ma i commissari si mandano quando i piatti sono rotti per tentare di aggiustare le porcellane. Quando si può, bisogna far qualcosa prima, per evitare che se ne rompano altre, quelle che sono le più pregiate in casa. Con il Pd del Nord, dice la favola che oggi si narra qui. Velleitarismo nordista? Strategia personale del sindaco-star non ricandidabile nel 2011, che cerca di costruire il suo futuro? Delirio di onnipotenza per i sondaggi favorevoli? L'uomo sembra sinceramente strabiliato dalla sordità del suo partito rispetto alle questioni sostanziali: "Possibile che l'opposizione non colga l'enormità di Roma ladrona, dell'esenzione della Capitale passata alla destra del patto di stabilità, del regalo fatto dal governo Berlusconi di 500 milioni, a danno di tutti gli altri? Possibile che questa battaglia la debba fare io, coagulando anche le proteste legittime degli amministratori di destra?". Come il "Sì-Tav", una specie di partito nel partito del partito che Chiamparino propone in Val di Susa: liste comuni tra Partito democratico e Partito delle libertà per contrastare le liste civiche "No-Tav". "Sono d'accordo con Sergio", commenta asciuttamente Enzo Ghigo, capo del Pdl in Piemonte, che potrebbe essere il candidato della destra alla successione nella carica di sindaco di Torino. Ma da Roma Walter, destinatario di lettere-appello, tace. Il "Sì-Tav" sarebbe il definitivo sganciamento da quel poco che resta della sinistra radicale. Meno disponibili di Ghigo i democratici: tra il sindaco autonomo che vive di sua luce nazionale e i vertici locali del partito la diatriba eterna non è proprio sopita, nonostante le recenti rassicurazioni. "Mister 75 per cento" ha sempre un occhiuto censore nel "PEC", acronimo che designa i leader locali del Pd: Roberto Placido, Stefano Esposito e Carlo Chiama. Bazzecole. Solo gelosie politiche, dicono. Nessuna questione immorale, almeno, a sinistra rispetto a Firenze, dove il sindaco Leonardo Domenici ha dovuto affrontare l'onta delle intemperanze verbali sue e di alcuni dei suoi rivelate dalle intercettazioni della magistratura. "Qui la casa è di vetro", garantisce Chiamparino, anche se la premiata ditta Ligresti è al lavoro come a Firenze e in ogni altra città d'Italia per esitare il suo cemento. Il progetto ligrestiano, i cui denari sponsorizzano la prima del Regio, è nell'area chiamata "Borsetto", ma la crisi, per fortuna, ha rallentato il pressing edificatorio. Se mai c'è la grana "Gerbido", la quinta grande opera pubblica italiana aggiudicata nel 2008. Si tratta di un inceneritore da 360 milioni per il quale ha vinto l'appalto, con aziende delle cooperative rosse, la Termomeccanica Ecologia, che i concorrenti francesi hanno contestato. Al vertice della cordata vincitrice siede Enzo Papi, ex dirigente Cogefar, il cui nome ricorderanno i cultori di Mani Pulite, associato a quello di Primo Greganti, che fu tra gli arrestati da Antonio Di Pietro per le tangenti a Dc, Psi e Pci. Tornato oggi sulla scena, Greganti non è certo tra i supporter del sindaco torinese. "Io i poteri forti li vedo in sedi istituzionali nell'interesse dei poteri deboli e così sicuramente non mi appesto se li tocco", solfeggia Chiamparino. Vicini vicini, nel salone d'onore della Crt con mezzo establishment cittadino, sussurrano continuamente il sindaco e il banchiere, Chiamparino e Profumo. Pochi in sala s'interrogano sui "territori". Quasi tutti invece lo fanno sul destino del Partito democratico e, se esisterà ancora, sulla sua leadership. Chiamparino non nega, a chi glielo chiede, di dire che se si perdono le elezioni europee, ma soprattutto amministrative, del prossimo giugno "tutti a casa". E si sarà persa l'ultima spiaggia per recuperare quel che resta dei partiti storici e condurli dalla democrazia dei partiti alla democrazia dei cittadini. L'evoluzione che ha capito Berlusconi e che interpreta purtroppo rozzamente in senso populistico. Magari nasceranno una cosa bianca con Casini e un pezzo del Pd e una cosa rosa con l'ex Pd-Pds-Pci e pezzi cattolici, con un imprinting postcomunista e non riformista-socialdemocratico. E allora il sindaco dice che lui non sarà della partita. Magari non farà il sociologo, ma forse il manager di una super-multiutility che dovrà inevitabilmente nascere nel Nord. Il banchiere, che votò alle primarie Pd, sistemate le non lievi questioni "subprime" che l'hanno assediato, dice agli intimi di voler optare per il volontariato. Ma chissà che, in un'inversione di ruoli con il sindaco, non pensi al volontariato politico. E la lista, dalla Sardegna al Piemonte, s'allunga.
Un grande discorso. Un commento modesto.
Riporto di seguito il discorso tradotto in italiano del presidente USA dal sito del Corriere (per chi conosce l'inglese consiglio il discorso in originale dal sito C.N.N. a questo indirizzo: http://edition.cnn.com/2009/POLITICS/01/20/obama.politics/index.html?iref=mpstoryview ), e poi (questo sì, banale, secondo me) l'editoriale di Giordano.
Ognuno può farsi un idea.
Discorso di Barack Obama:
"Concittadini, oggi sono qui di fronte a voi con umiltà di fronte all'incarico, grato per la fiducia che avete accordato, memore dei sacrifici sostenuti dai nostri antenati. Ringrazio il presidente Bush per il suo servizio alla nostra nazione, come anche per la generosità e la cooperazione che ha dimostrato durante questa transizione.
Sono quarantaquattro gli americani che hanno giurato come presidenti. Le parole sono state pronunciate nel corso di maree montanti di prosperità e in acque tranquille di pace. Ancora, il giuramento è stato pronunciato sotto un cielo denso di nuvole e tempeste furiose. In questi momenti, l'America va avanti non semplicemente per il livello o per la visione di coloro che ricoprono l'alto ufficio, ma perché noi, il popolo, siamo rimasti fedeli agli ideali dei nostri antenati, e alla verità dei nostri documenti fondanti. Così è stato. Così deve essere con questa generazione di americani.
Che siamo nel mezzo della crisi ora è ben compreso. La nostra nazione è in guerra, contro una rete di vasta portata di violenza e odio. La nostra economia è duramente indebolita, in conseguenza dell'avidità e dell'irresponsabilità di alcuni, ma anche del nostro fallimento collettivo nel compiere scelte dure e preparare la nazione a una nuova era. Case sono andate perdute; posti di lavoro tagliati, attività chiuse. La nostra sanità è troppo costosa, le nostre scuole trascurano troppi; e ogni giorno aggiunge un'ulteriore prova del fatto che i modi in cui usiamo l'energia rafforzano i nostri avversari e minacciano il nostro pianeta.
Questi sono indicatori di crisi, soggetto di dati e di statistiche. Meno misurabile ma non meno profondo è l'inaridire della fiducia nella nostra terra: la fastidiosa paura che il declino dell'America sia inevitabile, e che la prossima generazione debba ridurre le proprie mire. Oggi vi dico che le sfide che affrontiamo sono reali. Sono serie e sono molte. Non saranno vinte facilmente o in un breve lasso di tempo. Ma sappi questo, America: saranno vinte. In questo giorno, ci riuniamo perché abbiamo scelto la speranza sulla paura, l'unità degli scopi sul conflitto e la discordia. In questo giorno, veniamo per proclamare la fine delle futili lagnanze e delle false promesse, delle recriminazioni e dei dogmi logori, che per troppo a lungo hanno strangolato la nostra politica.
Rimaniamo una nazione giovane, ma, nelle parole della Scrittura, il tempo è venuto di mettere da parte le cose infantili. Il tempo è venuto di riaffermare il nostro spirito durevole; di scegliere la nostra storia migliore; di riportare a nuovo quel prezioso regalo, quella nobile idea, passata di generazione in generazione: la promessa mandata del cielo che tutti sono uguali, tutti sono liberi, e tutti meritano una possibilità per conseguire pienamente la loro felicità.
Nel riaffermare la grandezza della nostra nazione, capiamo che la grandezza non va mai data per scontata. Bisogna guadagnarsela. Il nostro viaggio non è mai stato fatto di scorciatoie o di ribassi. Non è stato un sentiero per i deboli di cuore, per chi preferisce l’ozio al lavoro, o cerca solo i piaceri delle ricchezze e della celebrità. E’ stato invece il percorso di chi corre rischi, di chi agisce, di chi fabbrica: alcuni celebrato ma più spesso uomini e donne oscuri nelle loro fatiche, che ci hanno portato in cima a un percorso lungo e faticoso verso la prosperità e la libertà.
Per noi hanno messo in valigia le poche cose che possedevano e hanno traversato gli oceani alla ricerca di una nuova vita.
Per noi hanno faticato nelle fabbriche e hanno colonizzato il West; hanno tollerato il morso della frusta e arato il duroterreno.
Per noi hanno combattuto e sono morti in posti come Concord e Gettysburg, la Normandia e Khe Sahn.
Ancora e ancora questi uomini e queste donne hanno lottato e si sono sacrificati e hanno lavorato fino ad avere le mani in sangue, perché noi potessimo avere un futuro migliore. Vedevano l’America come più grande delle somme delle nostre ambizioni individuali, più grande di tutte le differenze di nascita o censo o partigianeria.
Questo è il viaggio che continuiamo oggi. Rimaniamo il paese più prosperoso e più potente della Terra. I nostri operai non sono meno produttivi di quando la crisi è cominciata. Le nostre menti non sono meno inventive, i nostri beni e servizi non meno necessari della settimana scorsa o del mese scorso o dell’anno scorso. Le nostre capacità rimangono intatte. Ma il nostro tempo di stare fermi, di proteggere interessi meschini e rimandare le decisioni sgradevoli, quel tempo di sicuro è passato. A partire da oggi, dobbiamo tirarci su, rimetterci in piedi e ricominciare il lavoro di rifare l’America.
Perché ovunque guardiamo, c’è lavoro da fare. Lo stato dell’economia richiede azioni coraggiose e rapide, e noi agiremo: non solo per creare nuovi lavori ma per gettare le fondamenta della crescita. Costruiremo le strade e i ponti, le reti elettriche, le linee digitali per nutrire il nostro commercio e legarci assieme. Ridaremo alla scienza il posto che le spetta di diritto e piegheremo le meraviglie della tecnologia per migliorare le cure sanitarie e abbassarne i costi. Metteremo le briglie al sole e ai venti e alla terra per rifornire le nostre vetture e alimentare le nostre fabbriche. E trasformeremo le nostre scuole e i college e le università per soddisfare le esigenze di una nuova era. Tutto questo possiamo farlo. E tutto questo faremo.
Ci sono alcuni che mettono in dubbio l’ampiezza delle nostre ambizioni, che suggeriscono che il nostro sistema non può tollerare troppi piani grandiosi. Hanno la memoria corta. Perché hanno dimenticato quanto questo paese ha già fatto: quanto uomini e donne libere possono ottenere quando l’immaginazione si unisce a uno scopo comune, la necessità al coraggio.
Quello che i cinici non riescono a capire è che il terreno si è mosso sotto i loro piedi, che i diverbi politici stantii che ci hanno consumato tanto a lungo non hanno più corso. La domanda che ci poniamo oggi non è se il nostro governo sia troppo grande o troppo piccolo, ma se funziona: se aiuta le famiglie a trovare lavori con stipendi decenti, cure che possono permettersi, unapensione dignitosa. Quando la risposta è sì, intendiamo andareavanti. Quando la risposta è no, i programmi saranno interrotti. E quelli di noi che gestiscono i dollari pubblici saranno chiamati a renderne conto: a spendere saggiamente, a riformare le cattive abitudini, e fare il loro lavoro alla luce del solo, perché solo allora potremo restaurare la fiducia vitale fra un popolo e il suo governo.
Né la domanda è se il mercato sia una forza per il bene o per il male. Il suo potere di generare ricchezza e aumentare la libertànon conosce paragoni, ma questa crisi ci ha ricordato che senza occhi vigili, il mercato può andare fuori controllo, e che unpaese non può prosperare a lungo se favorisce solo i ricchi. Il successo della nostra economia non dipende solo dalle dimensioni del nostro prodotto interno lordo, ma dall’ampiezza della nostra prosperità, dalla nostra capacità di ampliare le opportunità a ogni cuore volonteroso, non per beneficenza ma perché è la via più sicura verso il bene comune.
Per quel che riguarda la nostra difesa comune, respingiamo come falsa la scelta tra la nostra sicurezza e i nostri ideali. I Padri Fondatori, di fronte a pericoli che facciamo fatica a immaginare, prepararono un Carta che garantisse il rispetto della legge e i diritti dell’uomo, una Carta ampliata con il sangue versato da generazioni. Quegli ideali illuminano ancora il mondoe non vi rinunceremo in nome del bisogno. E a tutte le persone e i governi che oggi ci guardano, dalle capitali più grandi al piccolo villaggio in cui nacque mio padre, dico: sappiate che l’America è amica di ogni nazione e di ogni uomo, donna e bambino che cerca un futuro di pace e dignità, e che siamo pronti di nuovo a fare da guida.
Ricordate che le generazioni passate sconfissero il fascismo e il comunismo non solo con i carri armati e i missili, ma con alleanze solide e convinzioni tenaci. Capirono che la nostra forza da sola non basta a proteggerci, né ci dà il diritto di fare come ci pare. Al contrario, seppero che il potere cresce quando se ne fa un uso prudente; che la nostra sicurezza promana dal fatto che la nostra causa giusta, dalla forza del nostro esempio, dalle qualità dell’umiltà e della moderazione.
Noi siamo i custodi di questa eredità. Guidati ancora una volta da questi principi, possiamo affrontare quelle nuove minacce cherichiedono sforzi ancora maggiori - e ancora maggior cooperazione e comprensione fra le nazioni. Inizieremo a lasciare responsabilmente l’Iraq al suo popolo, e a forgiare una pace pagata a caro prezzo in Afghanistan. Insieme ai vecchi amici e agli ex nemici, lavoreremo senza sosta per diminuire la minaccia nucleare, e allontanare lo spettro di un pianeta surriscaldato. Non chiederemo scusa per la nostra maniera di vivere, né esiteremo a difenderla, e a coloro che cercano di ottenere i loro scopi attraverso il terrore e il massacro di persone innocenti, diciamo che il nostro spirito è più forte e non potrà essere spezzato. Non riuscirete a sopravviverci, e vi sconfiggeremo.
Perché sappiamo che il nostro multiforme retaggio è una forza, non una debolezza: siamo un Paese di cristiani, musulmani, ebrei e indù - e di non credenti; scolpiti da ogni lingua e cultura, provenienti da ogni angolo della terra. E dal momento che abbiamo provato l’amaro calice della guerra civile e della segregazione razziale, per emergerne più forti e più uniti, non possiamo che credere che odii di lunga data un giorno scompariranno; che i confini delle tribù un giorno si dissolveranno; che mentre il mondo si va facendo più piccolo, la nostra comune umanità dovrà venire alla luce; e che l’America dovrà svolgere un suo ruolo nell’accogliere una nuova era di pace.
Al mondo islamico diciamo di voler cercare una nuova via di progresso, basato sull’interesse comune e sul reciproco rispetto. A quei dirigenti nel mondo che cercano di seminare la discordia, o di scaricare sull’Occidente la colpa dei mali delle loro società, diciamo: sappiate che il vostro popolo vi giudicherà in base a ciò che siete in grado di costruire, non di distruggere. A coloro che si aggrappano al potere grazie alla corruzione, all’inganno, alla repressione del dissenso, diciamo: sappiate che siete dalla parte sbagliata della Storia; ma che siamo disposti a tendere la mano se sarete disposti a sciogliere il pugno.
Ai popoli dei Paesi poveri, diciamo di volerci impegnare insieme a voi per far rendere le vostre fattorie e far scorrere acque pulita; per nutrire i corpi e le menti affamate. E a quei Paesi che come noi hanno la fortuna di godere di una relativa abbondanza, diciamo che non possiamo più permetterci di essere indifferenti verso la sofferenza fuori dai nostri confini; né possiamo consumare le risorse del pianeta senza pensare alle conseguenze. Perché il mondo è cambiato, e noi dobbiamo cambiare insieme al mondo.
Volgendo lo sguardo alla strada che si snoda davanti a noi, ricordiamo con umile gratitudine quei coraggiosi americani che in questo stesso momento pattugliano deserti e montagne lontane. Oggi hanno qualcosa da dirci, così come il sussurro che ci arriva lungo gli anni dagli eroi caduti che riposano ad Arlington: rendiamo loro onore non solo perché sono custodi della nostra libertà, ma perché rappresentano lo spirito di servizio, la volontà di trovare un significato in qualcosa che li trascende. Eppure in questo momento - un momento che segnerà una generazione - è precisamente questo spirito che deve animarci tutti.
Perché, per quanto il governo debba e possa fare, in definitiva sono la fede e la determinazione del popolo americano su cui questo Paese si appoggia. E’ la bontà di chi accoglie uno straniero quando le dighe si spezzano, l’altruismo degli operai che preferiscono lavorare meno che vedere un amico perdere il lavoro, a guidarci nelle nostre ore più scure. E’ il coraggio del pompiere che affronta una scala piena di fumo, ma anche la prontezza di un genitore a curare un bambino, che in ultima analisi decidono il nostro destino.
Le nostre sfide possono essere nuove, gli strumenti con cui le affrontiamo possono essere nuovi, ma i valori da cui dipende il nostro successo - il lavoro duro e l’onestà, il coraggio e il fair play, la tolleranza e la curiosità, la lealtà e il patriottismo - queste cose sono antiche. Queste cose sono vere. Sono state la quieta forza del progresso in tutta la nostra storia. Quello che serve è un ritorno a queste verità. Quello che ci è richiesto adesso è una nuova era di responsabilità - un riconoscimento, da parte di ogni americano, che abbiamo doveri verso noi stessi, verso la nazione e il mondo, doveri che non accettiamo a malincuore ma piuttosto afferriamo con gioia, saldi nella nozione che non c’è nulla di più soddisfacente per lo spirito, di più caratteristico della nostra anima, che dare tutto a un compito difficile.
Questo è il prezzo e la promessa della cittadinanza.
Questa è la fonte della nostra fiducia: la nozione che Dio ci chiama a forgiarci un destino incerto. Questo il significato della nostra libertà e del nostro credo: il motivo per cui uomini e donne e bambine di ogni razza e ogni fede possono unirsi in celebrazione attraverso questo splendido viale, e per cui un uomo il cui padre sessant’anni fa avrebbe potuto non essere servito al ristorante oggi può starvi davanti a pronunciare un giuramento sacro.
E allora segnamo questo giorno col ricordo di chi siamo e quanta strada abbiamo fatto. Nell’anno della nascita dell’America, nel più freddo dei mesi, un drappello di patrioti si affollava vicino a fuochi morenti sulle rive di un fiume gelato. La capitale era abbandonata. Il nemico avanzava, la neve era macchiata di sangue. E nel momento in cui la nostra rivoluzione più era in dubbio, il padre della nostra nazione ordinò che queste parole fossero lette al popolo: “Che si dica al mondo futuro... Che nel profondo dell’inverno, quando nulla tranne la speranza e il coraggio potevano sopravvivere... Che la città e il paese, allarmati di fronte a un comune pericolo, vennero avanti a incontrarlo”.
America. Di fronte ai nostri comuni pericoli, in questo inverno delle nostre fatiche, ricordiamoci queste parole senza tempo. Con speranza e coraggio, affrontiamo una volta ancora le correnti gelide, e sopportiamo le tempeste che verranno. Che i figli dei nostri figli possano dire che quando fummo messi alla prova non ci tirammo indietro né inciampammo; e con gli occhi fissi sull’orizzonte e la grazia di Dio con noi, portammo avanti quel grande dono della libertà, e lo consegnammo intatto alle generazioni future".
DA IL GIORNALE.IT
Caro Barack, tutto qui?di Mario Giordano
Scusate, ma non ce la faccio. Non riesco ad emozionarmi. Ce l'ho messa tutta, ve lo giuro. Niente da fare. Vedo intorno a me gente che va in sollucchero, fiumi di entusiasmo, commozione e fan scatenati. Sento parlare di «svolta globale», «evento epocale», «parole storiche» che «hanno segnato una nuova speranza per il mondo». Assisto a un'euforia contagiosa che attraversa tutti, dai ministri alle passerelle di moda, dai sindacalisti alle showgirl. E, purtroppo, non riesco a esserne parte.
Dico purtroppo perché mi dispiace. Un po' di euforia fa sempre bene, soprattutto di questi tempi. Perciò sinceramente invidio chi riesce a intravedere nel discorso che ha fatto Obama ieri la «speranza di un mondo migliore». Io ci intravedo, al massimo, un po' di onesta retorica, qualche sprazzo di vigore e una manciata di buoni sentimenti. We can e volemose bene, una strizzata d'occhio al bushismo e una scivolata verso lidi che sembrano quasi veltroniani. Fra Condoleezza Rice e Concita De Gregorio, insomma. Ma dov'è la svolta globale?
Ripeto, probabilmente è una mancanza mia. Vi chiedo scusa in anticipo. Se tutto il mondo suona le fanfare di fronte a queste parole storiche, probabilmente le parole saranno davvero storiche. Io, purtroppo, temo che domani me le sarò già dimenticate. E pensare che le ho lette e rilette per cercare di trovare lo slogan vincente, la frase tagliente, una formula di quelle che passa direttamente dal comizio all'enciclopedia, genere «nuove frontiere» o «I have a dream». O, se non altro, «dove c'è Barilla c'è casa», che non finisce nell'enciclopedia ma almeno si fa ricordare. Non sono riuscito a trovarla. L'amnesia incombe.
Ho cercato allora almeno un'idea nuova nei contenuti, una proposta forte, una soluzione innovativa. Se Obama è la nuova speranza planetaria, mi dicevo, magari tira fuori dal cilindro qualcosa di sorprendente, di quelle che le senti e dici: «Accipicchia, io non ci sarei arrivato, vedi perché lui è presidente degli Stati Uniti?». Scusatemi, ma non ho trovato nemmeno quello. Le tradizioni dei Padri, la grandezza della nazione, la fiducia da restituire. Le sfide («serie e molte», si capisce) da affrontare. «Sappi questo America: le risolveremo». Benissimo: e perché ne sei così sicuro? «Perché abbiamo scelto la speranza invece della paura, l'unità d'intenti invece della discordia». Grazie, tante: fin lì ci arrivavamo anche a Trastevere. We can e volemose bene, appunto.
Per quello che ne ho capito (ma lo ripeto: evidentemente dev'essermi sfuggito qualcosa) la parte migliore del discorso di Obama ricalca la parte migliore di Bush. Un po' di orgoglio, un po' di vigore, un messaggio chiaro ai terroristi: la guerra contro di voi continua. Ottimo, ma allora la svolta storica dov'è? Nel messaggio ai musulmani? Quel «mano tesa all'Islam» che sembra una predica di monsignor Tettamanzi? E poi che razza di novità è questa? Ma vi pare possibile? Tutto questo po’ po’ di evento globale per dire che ci vuole più «dialogo»?
No, per favore no: il dialogo no, almeno nel giorno in cui inizia una nuova era. C'è un po' di differenza tra la Casa Bianca e il Mulino Bianco: questo il nuovo presidente lo sa benissimo e infatti, alla faccia di tutti gli obamaniaci d'Europa, alla fine probabilmente sarà anche lui un comandante in capo, fermo e deciso a difendere l'America e il mondo, come il suo predecessore. Molto lontano dal pupazzetto simil-veltroniano che ci stanno propinando qui da noi. Ma allora, scusate, com'è che inizia la nuova era? Dov'è il cambiamento epocale? Con i suoi primi passi, cioè con la scelta degli uomini, Obama ha premiato il vecchio establishment. Il discorso d'investitura non apre nuovi orizzonti, a parte, appunto, il dialogo. Scusate, mi spiegate come posso fare, allora, per emozionarmi anch'io?
Ve l'ho detto, io non ci riesco proprio. Sarò l'unico, ma non ce la faccio. Per la verità, proprio l'unico no: ho notato che anche Wall Street ieri non ha provato brividi d'entusiasmo dinanzi al momento storico. Al contrario, dopo l'intervento del presidente ha toccato i minimi. Evidentemente a chi lavora con i dané sonanti il dialogo e l'«unità d'intenti» non bastano. Ci vuole qualcosa di più, ci voleva qualcosa di più. L'altro giorno in riunione di redazione mi hanno raccontato che il giovane genio incaricato di scrivere il discorso di Obama ha avuto un mancamento per lo stress e lo sforzo compiuto nella stesura. Be', dopo aver letto il prodotto di tanto sforzo ho pensato che se avesse preso una camomilla magari si stressava meno e gli veniva meglio. L'ottimo Tg1 delle 20 ieri sera apriva con un titolone per dire che «il mondo spera». Certo: il mondo spera. E, sinceramente, sperava anche qualcosa di più. Per essere un giorno epocale, invece, l'unico commento che viene spontaneo è: tutto qui?
lunedì 19 gennaio 2009
Se si scioglie il Polo del Nord
Repubblica — 18 gennaio 2009 pagina 1 sezione: PRIMA PAGINA
Intorno a Malpensa si è combattuta una guerra politica destinata a durare ancora a lungo. Condotta dentro i confini del centrodestra, mischia simboli e interessi riassunti da una bandiera o forse un mito. Il Nord.
Ma, in effetti, la posta in gioco appare più ampia. Il territorio come fondamento della rappresentanza e dell' identità che accomuna e divide il centrodestra. Il quale, d' altronde, nasce così, nel 1994. Un' invenzione di Silvio Berlusconi, attuata coalizzando forze politiche largamente antitetiche. Oltre ai neodemocristiani del Ccd (i meno "pesanti" sul piano elettorale), Lega Nord e Alleanza Nazionale, cioè la Lega Sud. Il Federalismo ultrà (in seguito secessionista) e la Nazione. Il tutto tenuto insieme dall' Italia, apertamente evocata nel simbolo e nel nome dal partito personale creato da Berlusconi. Forza Italia. Più che un marchio, un grido. L' inno dell' Italia azzurra, che echeggiava la passione sportiva e la patria televisiva. Più dell' Italia come nazione: la Nazionale di calcio e Italia 1. Il Milan più di Milano. Anche per questo e in questo modo Berlusconi riesce a coalizzare gli opposti, a renderli compatibili. Attraverso un network ideologicamente leggero e personalizzato. Capace, però, di associare tutti i possibili significati del territorio. Il Nord, la Nazione, l' Italia, il federalismo regionalista. Vincendo, così, la sfida con il centrosinistra, attardato a esibire bandiere ideologiche ormai vecchie e scolorite. Quindici anni dopo, molto è cambiato, ma queste radici restano. Salde quanto prima, come dimostra la vicenda di Malpensa. Su cui intendiamo tornare solo per precisare la mappa che ne spiega i conflitti. Alitalia, anzitutto. Riguarda Roma, visto che da sempre gravita su Fiumicino. Non può interessare la Lega, da cui si distanzia, anzitutto, per motivi di lessico e identità. Alitalia è Al-Italia. "O si fa Al-Italia o si muore", proclamava Berlusconi prima e dopo le elezioni, sostenendo la necessità di salvare la compagnia di bandiera in nome dell' interesse nazionale. Dell' italianità. Non poteva e non può, la Lega, rispondere al richiamo di una bandiera al-italiana. Peraltro, piantata a Roma. Divenuta, oggi, capitale non solo della Nazione ma di Alleanza Nazionale. Alla Lega interessa assai di più Malpensa. Situata lungo l' asse fra Milano e Varese. Dove si incontrano e si scontrano diversi interessi e diversi attori politici. Diverse facce della stessa alleanza, in aperto contrasto e in aperta concorrenza. a) La Lega, anzitutto. In quest' area ha radici profonde e, oggi, una base elettorale molto ampia. Una sorta di capitale padana. b) Formigoni, governatore della Lombardia da quasi quindici anni. Interprete dell' esperienza di Cl, del Movimento popolare. Oggi della Compagnia delle Opere. Determinato a mantenere un ruolo importante nel rapporto con Roma. In nome della Regione e della Lombardia. Sfidando, così, apertamente la Lega di Bossi che è, in origine, Lombarda. c) Letizia Moratti, sindaco di Milano. L' altro polo della contesa di Malpensa. Teme di vedere la "sua" città risucchiata dalla vertenza fra il Nord della Lega, la Lombardia di Formigoni e il paese di Al-Italia, su cui regna Berlusconi. Il cui presidio è a Milano. Per questo non può accettare il ridimensionamento di Linate, l' aeroporto metropolitano. Per questo non può accettare un confronto che vede lei e la sua città comprimarie più che protagoniste. d) Sopra tutti - e per questo al centro della guerra - c' è Silvio Berlusconi. Il passaggio della vertenza da Alitalia a Malpensa lo disturba parecchio. Perché accentua le distinzioni e le distanze originarie della sua invenzione: il cartello politico del territorio. Il Polo del Nord e del Sud. Riapre lo scontro fra Milano e Roma, alla base dell' identità leghista, ma anche del suo successo. E alimenta nuovi conflitti "locali": fra Milano, la Lombardia e il Nord. Ma Berlusconi teme, soprattutto, il riaprirsi della "questione settentrionale" oggi che al governo c' è lui e la sua leadership si sta allargando da Forza Italia al PdL. Il Nord, d' altra parte, è divenuto un riferimento largamente condiviso dai cittadini, come emerge da una recente indagine LaPolis-Demos per Intesa Sanpaolo (uscirà su Limes, in un numero dedicato all' Italia). è l' ambito territoriale in cui si riconosce maggiormente circa il 20% dei cittadini residenti nelle regioni dell' Italia settentrionale (ad esclusione dell' Emilia Romagna). Una quota di poco inferiore a quella dell' Italia, ma più ampia rispetto alla regione e perfino alla città. In altri termini, oggi i cittadini del Nord si dicono nordisti più ancora che milanesi o lombardi. Questa "identità", peraltro, diventa dominante nella Lega. Fra i suoi elettori, infatti, i "nordisti" salgono al 38%, mentre gli "italiani" sono il 22% e le altre appartenenze (città, regione) scivolano sotto il 10%. Al contrario, gli elettori del PdL si sentono soprattutto "italiani" (intorno al 25%, come coloro che dichiarano attaccamento alla loro città) mentre i "nordisti" sono il 7%. Il 16% di essi, al contrario, considera il Nord il riferimento territoriale più lontano. Da ciò il problema per Berlusconi e, in fondo, per il centrodestra: la titolarità della rappresentanza territoriale ne fonda ma al tempo stesso ne mina il consenso. Tanto più quanto più assume rilevanza, sul piano degli interessi e dell' identità. Non solo perché divide il Nord da Roma e dal Mezzogiorno. Anche perché divide "i" Nord, soprattutto nell' area lombarda. Il problema, peraltro, è destinato a riproporsi e, per alcuni versi, a moltiplicarsi nel prossimo futuro. Soprattutto in occasione della riforma federalista. Un' ultima considerazione. La vertenza di Malpensa delinea una geografia del Nord semplificata e ridotta. Una sola capitale: Milano, allargata alla Brianza. Una sola regione: la Lombardia. Tutto il resto: periferia. Il Nordovest e il Nordest. Torino - dove governa il centrosinistra - e il Veneto - dove il PdL e soprattutto la Lega sono più forti che in Lombardia. Difficile parlare di "questione settentrionale" quando sparisce mezzo Nord. - ILVO DIAMANTI
giovedì 15 gennaio 2009
Ecco chi beneficerà della social card...ovvero: i soliti noti.
Ecco l'articolo del SOLE 24 ORE che l0 documenta:
15 gennaio 2008
L'Inps ha caricato 423mila Carte acquisti
L'Inps ha reso noto di aver caricato 423.868 Carte acquisti, pari a circa il 73% del numero totale di richieste. Quindi i tre quarti delle 580.268 richieste hanno ottenuto l'accredito sulla carta emessa dalle Poste. Il Sud fa il pieno: oltre 100mila card arrivano in Campania, più di 95mila in Sicilia, 42mila in Puglia. Il Lazio è a poco meno di 37mila card, la Lombardia a poco più di 22mila. L'Istituto ha precisato che nelle domande respinte non venivano rispettati i limiti di reddito richiesti dalla normativa: poco più di 147mila delle verifiche condotte sono state bocciate per questo motivo. Per altre 9mila richieste non si è potuto procedere alla verifica per assenza o non completi dati anagrafici. In questi casi, sottolinea l'Istituto di previdenza, la procedura potrà essere riaperta non appena fossero disponibili tutte le informazioni personali.L'Istuto ha reso anche noto che tutte le richieste della Carta acquisti vengono esaminate dall'Istituto entro le 24 ore successive alla loro presentazione alle Poste e le Carte autorizzate vengono caricate entro i due giorni lavorativi successivi, come previsto dalle linee guida del ministero dell'Economia e delle Finanze. Ciascun richiedente la Carta acquisti riceverà una comunicazione sull'esito della verifica. Nel caso la domanda fosse stata respinta, nella lettera saranno indicate le ragioni che non hanno consentito di procedere alla carica. 15 gennaio 2008
Le GRANDI occasioni per il centro-sinistra (e per l'Italia)
"Editoriali
15/1/2009 -
Cambio di stagione
LUCA RICOLFI
Ha fatto un certo scalpore la notizia, peraltro ampiamente prevedibile e prevista, che per il 2009 pagheremo ancora più tasse che per il 2008. Secondo il Corriere Economia il cosiddetto «Tax freedom day» - ossia il giorno di liberazione dalle tasse, in cui finalmente cominciamo a lavorare per noi stessi anziché per lo Stato - si è spostato di altri 2 giorni in avanti: quest’anno dovremo aspettare fino al 23 giugno, un vero record (dall’Unità d’Italia a oggi solo il governo D’Alema, nel 2000, riuscì a fare peggio). Né possiamo consolarci pensando che le cose siano destinate presto a cambiare: anche per i restanti anni della legislatura il Dpef prevede una pressione fiscale costante, attestata intorno al 43%, nonostante il programma elettorale del centro-destra confidasse in un calo della pressione fiscale di almeno 3 punti di Pil, dal 43% al 40%.Qualcuno, come Alberto Mingardi sul Riformista, interpreta questo ennesimo raffreddamento dell’anima liberale del centro-destra come la conferma definitiva della fine di una stagione, la stagione iniziata nel 1994 con Berlusconi leader di una destra anti-fiscale, campione della società contro lo Stato, dell’individuo contro la burocrazia degli apparati. Rispetto alla coppia libertà-sicurezza, il centro-destra attuale penderebbe sempre di più verso la sicurezza, l’ordine, la tradizione. Forse è così, ma quel che è interessante è che i risultati non si vedono nemmeno lì. Naturalmente non è colpa di un governo appena insediato se gli sbarchi raddoppiano, la criminalità è ai massimi storici (superata solo dal picco post-indulto del 2007), l’affollamento delle carceri è tornato a livelli drammatici, gli stessi - circa 60 mila detenuti per 43 mila posti - che nel 2006 indussero il povero Prodi a promulgare l’indulto. Però è difficile sfuggire all’impressione che il governo non sappia come gestire la situazione, nonostante l’impegno di Maroni: i posti nelle carceri sono sempre quelli, quelli nei Cpt - paradossalmente - sono destinati a diminuire proprio a causa dell’aumento dei tempi di permanenza (se un clandestino viene trattenuto 10 mesi anziché 2, la capacità di accoglienza si riduce proporzionalmente). Nel programma si parlava di «costruzione di nuove carceri», «aumento delle risorse per la giustizia», «garanzia della certezza della pena», tutto fa pensare invece che nel 2009 il governo sarà costretto a nuovi provvedimenti di emergenza, presumibilmente destinati a scattare l’estate prossima, quando le presenze in carcere (e forse anche nei Cpt, ora ridenominati Cie) toccheranno livelli insostenibili.Ma non è tutto. I cavalli di battaglia elettorali del centro-destra non erano solo la riduzione delle tasse e la lotta a criminalità e immigrazione irregolare. C’era anche un terzo cavallo di battaglia, che stava particolarmente a cuore alla Lega e all’elettorato «padano»: l’adozione da parte del Parlamento nazionale della proposta di legge sul federalismo fiscale della Regione Lombardia (votata il 19 giugno 2007). Pure questo cavallo è nel frattempo caduto, anche se pochi se ne sono accorti: la «bozza Calderoli», che ha sostituito la proposta lombarda, è un drammatico passo indietro rispetto al progetto originario, e infatti ha ottenuto il consenso di tutte le forze che in origine si opponevano al federalismo, soprattutto governatori del Mezzogiorno e importanti settori della sinistra. Per non parlare dei recenti ripianamenti dei deficit di Catania, di Roma, della sanità laziale, o della costosissima conclusione di vicende come Alitalia e Malpensa. È grazie a questo genere di passaggi che il federalismo, che in origine era un’opportunità per diminuire la spesa e le tasse, ha oggi molte più probabilità di aumentarle entrambe.Uno-due-tre: meno tasse, più sicurezza, federalismo «lombardo». Su queste tre cose, a mio giudizio le più qualificanti (anche se non necessariamente le più condivisibili) del programma di centro-destra, non si vede proprio come Berlusconi abbia la possibilità di onorare le promesse. Ciononostante il consenso a Berlusconi resta molto alto, anche se da qualche tempo in calo. Perché? Per due ragioni almeno. La prima è ovvia: il tradimento del programma per ora è evidente solo sul versante delle tasse, e in questo momento - con la recessione economica incombente - la gente chiede più protezione, non più libertà. I guai veri verranno se e quando esploderà il problema delle carceri e il federalismo, nonostante l’uscita dalla recessione, si mostrerà incapace di ridurre davvero le tasse e la spesa. Ma la ragione più importante del perdurante consenso del centro-destra è un’altra: il Pdl non ha seri nemici a destra, esattamente come il Pci non ne aveva (e non ne tollerava) a sinistra. È questa la ragione politica per cui i fallimenti del governo non si traducono in consenso all’opposizione: federalismo vero, meno tasse, linea dura su criminalità e immigrazione sono «missioni» che interessano una parte considerevole dell’elettorato, ma non le forze di opposizione, che semmai considerano positivo il fatto che il centro-destra stia annacquando il suo programma. Gridare alle tasse troppo alte, alla pericolosità delle città, al pasticcio federalista non è congeniale a un’opposizione che pensa che le tasse siano «bellissime», gli immigrati «buonissimi», e il federalismo rischiosissimo a meno che noi illuminati lo rendiamo «equo e solidale». Insomma, il curioso della situazione è che il centro-destra sta abbandonando le sue bandiere, ma non c’è nessuno che abbia la voglia o la possibilità di raccoglierle. Per questo, almeno per ora, Berlusconi può dormire sonni tranquilli. Un po’ meno gli elettori che lo hanno votato sperando che, questa volta, avrebbe mantenuto le promesse."
giovedì 1 gennaio 2009
Il 2009, un anno diverso ?
- Che nel PD si smetta di guardare al proprio OMBELICO (battuta presa in prestito da il consigliere PD Pippo Civati) divendendosi in dalemiani, weltroniani, rutelliani, margheritini, diessini, bettiniani, franceschiniani, lettiani, bindiani e chi più ne ha più ne metta.
- Che si inizi a parlare di temi concreti quali:
- SICUREZZA
- TASSE
- IMMIGRAZIONE
- ITALIA E RELAZIONI INTERNAZIONALI
- SCUOLA PUBBLICA E SCUOLA PRIVATA
- FEDERALISMO (in primis FISCALE)
- PROVINCIA DI MONZA e BRIANZA
- APPARATO STATALE e PRODUTTIVITA'
- EVASIONE FISCALE
- LAVORO NERO
- INFRASTRUTTURE (in primis su FERRO)
- POLITICHE GIOVANILI e PREVENZIONE
- ABUSO DI ALCOOL E DROGHE
- INIZIATIVE CULTURALI
- NUOVI SPAZI DI VERDE PUBBLICO
- POLITICHE PER LA FAMIGLIA
Non sono in ordine di importanza, essendo tutti temi importanti, secondo me. E poi non ci dimentichiamo che il 2009 è l'anno per le elezioni per la PROVINCIA DI MONZA e BRIANZA. Anche se l'ultima indagine della camera di commercio di Monza e Brianza mostrava un sostanziale disinteresse per questo tema da parte degli aderenti, penso sia importante invece investire su questa istituzione, superando i settarismi e le chiusure dei vari comuni per avere una visione più "globale". Un esempio a caso: se un parco è su territori di più comuni è bene che sia un'istituzione che metta li metta tutti insieme nell'interesse di questo parco...e potrei citare altri esempi dove l'unione di comuni può fare la differenza...Certo la provincia deve essere un ente "SNELLO", con compiti precisi e ben circoscritti e senza sperpero del denaro dei contribuenti....abbiamo già troppi esempi negativi a riguardo.
E poi come non pensare alle elezioni comunali a SEREGNO del 2010 ? Ma questa è (quasi) un altra storia....
Ancora auguri a tutti i lettori e alle vostre famiglie per un SERENO e PRODUTTIVO 2009 !!