LA LETTERA DI TITO BOERI al CORRIERE DELLA SERA
Questa la lettera, molto interessante, di TITO BOERI, economista, al direttore del Corriere della Sera riguardo il tema dell'immigrazione.
Caro Direttore
i terribili avvenimenti di Rosarno mostrano in modo inequivocabile quanto sia cruciale il tema dell’integrazione degli immigrati nella società italiana, su cui lei ha deciso di aprire in modo lungimirante un dibattito sul suo giornale. Ci dicono che i flussi migratori sono non solo fonte di grandi benefici economici, ma anche di gravi tensioni sociali per le comunità che li ospitano. Dimostrano al contempo come sia riduttivo (e intellettualmente disonesto) confinare alla dimensione religiosa il problema dell’integrazione.
La tesi sull’”impossibile integrazione degli islamici” è stata sostenuta sulle sue colonne con riferimenti storici quanto meno azzardati (non è vero che i mussulmani hanno imposto la propria fede con forza in India sotto l’impero dei Moghul, non è vero che solo la cultura islamica ha prodotto chi si fa uccidere per uccidere, basti pensare ai kamikaze o ai guerrieri Tamil), e su testi di autori, come Toynbee, scomparsi 35 anni fa, quindi impossibilitati a studiare il lungo processo di integrazione delle minoranze islamiche nelle società europee contemporanee. Non un solo dato è stato citato a supporto di questa tesi così impegnativa. Né sono stati presi in considerazione le statistiche che avevo fornito e che documentano che l’integrazione di minoranze mussulmane nei paesi a più antica immigrazione è difficile, ma tutt’altro che impossibile. Il compito di uno studioso è quello di fornire informazioni sui casi tipici, sui grandi numeri (di aneddoti ed eccezioni è costellata la nostra vita quotidiana).
Approfitto allora di questo spazio per far nuovamente parlare i dati, questa volta sulla realtà dell’immigrazione nel nostro paese, alla luce della prima indagine rappresentativa degli immigrati clandestini condotta in Italia, a cura della Fondazione Rodolfo Debenedetti, nel novembre-dicembre 2009. Primo dato: un italiano su tre non vorrebbe avere un mussulmano come vicino di casa; pochi meno di quanti non vorrebbero estremisti (di destra o sinistra) o malati di aids nella porta accanto; tre volte la percentuale di italiani che non vorrebbero ebrei come vicini di casa. Secondo dato: gli immigrati in provenienza da paesi mussulmani parlano più spesso l’italiano, mandano i loro figli alla scuola pubblica e hanno più frequenti contatti con italiani delle altre minoranze, soprattutto dei cinesi. Terzo dato: gli immigrati, di tutte le etnie, lavorano più degli italiani (il loro tasso di occupazione è del 15 per cento superiore al nostro) sebbene circa un quarto di loro sia presente irregolarmente nel nostro paese, non abbia permesso di soggiorno e regolare contratto di lavoro.
Il primo dato spiega molte reazioni dei lettori; fa riflettere anche sul comportamento di chi, dopo aver compiaciuto la vox populi, conta il numero di commenti favorevoli raccolti sul sito web del suo giornale. Il secondo dato apre speranze sull’integrazione dei mussulmani nel nostro paese; soprattutto se sapremo investire, come in altri paesi, nel sistema scolastico, come strumento per trasmettere la nostra identità culturale. Pone dubbi sulla decisione di imporre un tetto del 30 per cento agli immigrati nelle nostre scuole. Ci sono comuni in cui l’80 per cento della popolazione è straniera: dovremmo forse impedire ai figli di questi immigrati di andare a scuola? Il terzo dato è cruciale per capire come contrastare davvero l’immigrazione clandestina, nei fatti e non con le parole. Rafforzando i controlli sui posti di lavoro per contrastare l’impiego in nero degli immigrati si può essere molto più efficaci che introducendo nuove leggi (come quelle che istituiscono il reato di immigrazione clandestina) destinate a non essere applicate. Non ho le rocciose certezze di alcuni suoi editorialisti che hanno risposte su tutto: dalle riforme costituzionali, al rapporto fra islam e immigrazione, al modo con cui salvare la Terra dagli effetti del cambiamento climatico. Essendo indiscutibilmente più limitato, temo di non avere risposte a molti quesiti posti dai lettori.
Ma di una cosa sono convinto: queste risposte non possono alimentarsi sui pregiudizi né essere trovate nelle (peraltro autorevoli) pagine di libri scritti alcuni decenni fa. Dovremmo avere tutti l’umiltà di dubitare, di osservare per imparare, di farci aiutare dai dati e dai numeri. In fondo è proprio questo che trovo interessante nel mio lavoro.
La ringrazio ancora per lo spazio che mi ha gentilmente concesso.
Tito Boeri